L’infarto del dipendente può essere causato dall’eccesiva mole di lavoro: in questo caso si tratta di infortunio sul lavoro indennizzabile dall’INAIL.

  Il dipendente colpito da infarto può ottenere l’indennizzo INAIL se dimostra il nesso causale tra l’infarto stesso e l’eccesiva mole di lavoro sopportata nell’ultimo periodo.   È quanto stabilito dalla Cassazione che, in una sentenza di ieri [1], ha confermato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l’infarto può ben dipendere da stress lavoro-correlato e costituire, dunque, infortunio sul lavoro indennizzabile da parte dell’INAIL.   L’infortunio sul lavoro si verifica quando l’evento dannoso avviene per una causa violenta e in occasione di lavoro, determinando la morte del lavoratore, la sua inabilità permanente al lavoro (assoluta o parziale) o la sua inabilità temporanea assoluta con conseguente astensione dal lavoro per più di tre giorni [2]. L’infarto è considerato quale “causa violenta” in quanto, per il suo attuarsi in un brevissimo arco temporale ma in modo concentrato e intenso, ha il carattere della violenza [3].   Esso, inoltre, può avvenire in “occasione di lavoro” quando sussiste un nesso causale, anche indiretto, con l’attività lavorativa svolta o con le modalità del suo svolgimento. Mansioni che comportano sforzi fisici troppo intensi oppure carichi di lavoro e responsabilità che determinano stanchezza e stress accumulati in determinati periodi possono, pur se associati ad altre cause, provocare un infarto nel lavoratore.   La connessione infarto-lavoro fa sì che il primo possa considerarsi infortunio sul lavoro e generare la responsabilità indennitaria dell’INAIL.   Il nesso causale tra stress-infarto da un lato e condizioni di lavoro dall’altro non è escluso per il solo fatto che altre cause abbiano contribuito a determinare l’evento (per esempio particolare predisposizione del dipendente all’infarto, tabagismo, pregresse malattie ecc.) [4].   La giurisprudenza prevalente, accolta dalla sentenza in esame, ritiene sufficiente, ai fini del nesso di causalità, che l’attività lavorativa abbia avuto un ruolo di concausa nell’infarto, il quale non si sarebbe verificato senza tale fattore. Il dipendente deve quindi dimostrare che il “superlavoro” ha provocato o contribuito a provocare l’infarto. La prova del nesso causale può essere raggiunta tramite una perizia medico-legale. La sentenza in esame precisa che nel caso in cui vengano effettuate più perizie, il giudice deve indicare quella a cui preferisce aderire e per quali motivi.