Con la sentenza n. 16754 del 2 ottobre 2012 la Corte di Cassazione compie ulteriori rivoluzionari passi avanti nella strada della creazione di una tutela privilegiata per i danneggiati dall’errore medico.
La pronuncia segna lo sviluppo del diritto pretorio relativo alla responsabilità sanitaria in una duplice direzione. Da un lato, ampliando il novero dei soggetti, diversi dalla persona con la quale il medico ha intrattenuto il “contatto sociale” fonte della sua responsabilità professionale, che hanno diritto ad essere risarciti. Dall’altro – e questo punto con esiti assolutamente rivoluzionari – configurando un dovere positivo del medico che ha assistito la madre in fase di gestazione, di impedire la “nascita malformata del bambino”, dovere in tesi assunto direttamente verso il bambino stesso.
Ma procediamo con ordine.
Avanzando nel solco delle pronunce che avevano già affermato la responsabilità del medico per omessa o errata diagnosi di malformazioni fetali, non solo rispetto alla madre, ma anche al padre (cfr. Cass. 14488/2004), la Cassazione riconosce oggi un autonomo diritto al risarcimento anche in capo ai fratelli del bambino handicappato, per il danno consistente nella “inevitabile, minor disponibilità dei genitori nei loro confronti, in ragione del maggior tempo necessariamente dedicato al figlio affetto da handicap, nonché nella diminuita possibilità di godere di un rapporto parentale coi i genitori stessi costantemente caratterizzato da serenità e distensione”.
La Cassazione porta così alle conseguenze ultime la tesi della “propagazione intersoggettiva degli effetti diacronici dell’illecito” ed il conseguente principio secondo cui, nonostante la titolare del rapporto “da contatto sociale” con il medico sia esclusivamente la gestante, la violazione degli obblighi che da quel contatto scaturiscono lede anche posizioni soggettive di terzi e genera dunque diritti risarcitori anche in capo a questi ultimi.
Veniamo ora a descrivere per sintesi il complesso ragionamento che vorrebbe sostenere la seconda preposizione che fa di questa sentenza una pronuncia del tutto inedita.
Ritiene la Corte che il nascituro non sia, nel nostro ordinamento, un soggetto giuridico, cioè centro di imputazione di posizioni giuridiche attive e passive (conclusione, questa, necessitata, in primis, dalla legge sull’interruzione volontaria della gravidanza), ma un “oggetto di tutela progressiva”, destinato ad acquistare, con la nascita, lo status di persona. La definizione del nascituro come “oggetto di tutela” consente al giudicante di conferire al feto un rilievo giuridico e dunque di poter ritenere che, per quanto esso non sia – o meglio non sia ancora – soggetto di diritto, il suo concepimento resta rilevante, segnando la data a partir dalla quale – sia pur subordinatamente all’evento della nascita – esso acquista il diritto ad essere risarcito dei danni derivanti da eventi lesivi verificatisi prima della nascita stessa, secondo lo schema della risarcibilità dei danni futuri.
In altri termini se prima del concepimento qualsiasi evento destinato ad incidere sulla vita dell’eventuale futuro essere umano è del tutto irrilevante, dopo il concepimento e nell’aspettativa della nascita, gli eventi lesivi devono considerarsi potenziali fonti di responsabilità per i danni che patirà la futura persona, se e allorché essa verrà alla luce.
In questa prospettiva la giurisprudenza aveva riconosciuto al bambino nato successivamente alla morte del padre, ma già ovviamente concepito al momento della sua morte, il diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e non, per essere nato orfano (Cass. n. 9700/2011); analogamente, la giurisprudenza aveva riconosciuto al bambino nato handicappato in conseguenza di lesioni colpevolmente cagionate al feto prima della nascita, il diritto al risarcimento del patito danno alla salute che si realizza al momento della nascita.
Proseguendo in questa logica, la sentenza in commento, pur predicando insistentemente l’inesistenza nel nostro ordinamento di un diritto “a nascere sano”, così come di un diritto “a non nascere non sano”, afferma il diritto del bambino nato handicappato ad essere risarcito dal medico che, omettendo di consigliare alla madre test diagnostici prenatali, non l’abbia messa in condizioni di ricorrere all’aborto.
I passaggi dell’iter argomentativo possono essere così sintetizzati.
Come si è visto è jus receptum che, all’esito della nascita, il bambino è soggetto di diritto e può dunque richiedere il risarcimento dei danni che patisce in conseguenza di una condotta illecita perpetrata tra la data del suo concepimento e la data della sua nascita: pertanto, e ovviamente, pure il bambino affetto da handicap può, dopo la nascita, richiedere in proprio i danni che subisce all’esito di un comportamento illecito realizzato in quel lasso temporale.
E’ poi certamente illecita la condotta del medico che omette di informare la gestante sulla possibilità di effettuare test prenatali sulla salute del feto. Per la teoria della “propagazione intersoggettiva degli effetti diacronici dell’illecito”, di cui si è discusso sopra, tale condotta illecita è suscettibile di ledere non solo l’unico soggetto titolare del diritto alla procreazione responsabile, cioè la gestante, ma anche soggetti terzi rispetto al rapporto medico-gestante e quindi anche il bambino, una volta nato.
In particolare, ritiene la Corte che la “nascita malformata” comprima il diritto alla piena estrinsecazione della personalità del bambino, diritto protetto dagli artt. 2 e 3 Cost.
La lesione di questo diritto deve ritenersi cagionata dalla colpevole omissione del medico, alla luce del noto principio della “equiparazione quoad effecta tra la fattispecie dell’errore medico che non abbia evitato l’handicap evitabile (l’handicap, si badi, non la nascita handicappata), ovvero che tale handicap abbia cagionato e l’errore medico che non ha evitato (o ha concorso a non evitare) la nascita malformata (evitabile, senza l’errore diagnostico in conseguenza della facoltà di scelta della gestante …)”.
Di qui, l’enunciazione del principio di diritto secondo il quale il bambino malformato ha diritto ad essere risarcito dal medico che abbia omesso di informare la madre della possibilità di effettuare test prenatali al fine di individuare la possibile malformazione, con ciò di fatto impedendole di praticare l’aborto.
L’intero impianto argomentativo della sentenza pare minato da passaggi logici insoddisfacenti.
La prima questione che viene risolta in maniera discutibile è l’individuazione dell’interesse protetto in capo al bambino malformato.
La sentenza infatti, dopo aver predicato espressamente l’inesistenza del diritto “a non nascere se non sano”, si vede poi costretta a notevoli forzature per individuare il diritto soggettivo leso.
La sensazione che l’individuazione di una posizione soggettiva tutelata – e dunque risarcibile in caso di lesione – sia stata più un obiettivo a prioristico, che esito serenamente raggiunto, è assecondata dai passaggi della motivazione ove si afferma che “l’interesse giuridicamente protetto, del quale viene richiesta tutela da parte del minore ai sensi degli articoli della Carta fondamentale dianzi citati, è quello che gli consente di alleviare, sul piano risarcitorio, la propria condizione di vita, destinata a una non del tutto libere estrinsecazione … nel pieno sviluppo della persona umana, nell’istituzione familiare, nella salute.”
Ma è ben evidente la confusione concettuale tra diritto leso e risarcimento per equivalente: il risarcimento monetario consente di alleviare le conseguenze della lesione. La situazione soggettiva, la cui lesione determina – in tesi – il diritto al risarcimento per equivalente è altro. In verità l’interesse leso, non è, né può essere, che il diritto alla salute, la cui compressione determina la non libera e piena estrinsecazione della personalità del soggetto handicappato.
La corretta individuazione del diritto leso in questi termini riporta alla domanda fondamentale: l’uomo ha un diritto positivo, giuridicamente riconosciuto, a nascere sano? Per la stessa opinione della Corte, la risposta è negativa.
Altro passaggio che lascia a dir poco perplessi è quello che risolve positivamente il problema del nesso causale, ove la Corte è costretta ad avventurarsi in sofismi giuridici pur di non riconoscere un fatto naturalistico di evidenza solare.
Seguendo i dettami di giurisprudenza ormai granitica, la rilevanza causale della condotta omissiva si misura sostituendo, in astratto, alla condotta omissiva la condotta attiva dovuta, e valutando i probabili effetti che tale condotta avrebbe determinato.
Nel caso che ci occupa, se all’omessa prescrizione alla gestante di effettuare test di diagnosi prenatale, ove questa dichiari al medico che non intende dare alla luce un figlio malformato, si sostituisce una condotta attiva di segno opposto, l’esito prevedibile è che il test avrebbe evidenziato la malattia genetica del feto e la gestante avrebbe interrotto la gravidanza. Certo in quella situazione non si sarebbe determinata la nascita di un soggetto perfettamente sano e pienamente in grado di estrinsecare la propria personalità. Non vi è dunque modo di collegare con un vincolo di causalità logicamente strutturato l’omessa prescrizione di test di diagnostica prenatale e la compressione al diritto alla libera espressione del sé, che la malattia determina nella persona handicappata.
E ciò anche senza voler entrare nel tema, forse più filosofico che non giuridico, del se l’essere affetto da una anomalia genetica determini la compressione del diritto alla libera espressione della personalità o se piuttosto, la persona affetta da anomalia genetica possa, come tutti gli esseri umani, esprimere pienamente se stesso, ma semplicemente lo faccia con le modalità e forse con i limiti, che il suo modo di essere gli pone. In altri termini, la persona in quelle condizioni non è una persona “normale” cui la malattia limita le capacità di estrinsecazione della personalità, ma è una persona che ha intrinsecamente capacità diverse, le quali possono essere da lui validamente e pienamente espresse.
In definitiva, la pronuncia che si commenta lascia diverse perplessità su temi molto delicati, non solo sotto il profilo strettamente legale, rispetto ai quali è auspicabile un’ulteriore riflessione
Dott.ssa Lucia Gargiulo - Corso Vercelli 7 Milano